L’aggressione operata ai danni dei colleghi delle volanti di Roma, che non è sfociata in un vero e proprio linciaggio solo grazie alla grande professionalità e al consolidato senso di equilibrio di questi operatori al quale va il nostro plauso e la nostra incondizionata solidarietà, è una situazione inaccettabile che ha una responsabilità ben definita.

L’aggressione ai danni delle donne e degli uomini in uniforme, che in questo Paese ha raggiunto limiti intollerabili per uno Stato che si definisce civile, considerato che ne registriamo una ogni 12 ore circa, è il frutto di una bulimia legislativa schizofrenica e eccessivamente garantista nei confronti di soggetti che intendono la democrazia come un terreno di impunità.

Va precisato che le donne e gli uomini in uniforme, oltre ad essere servitori dello Stato, sono anche i primi rappresentanti dello stesso e, in quanto tali, lo Stato ha il dovere, prima ancora che il diritto, di difenderli.

E’ quanto afferma Felice Romano Segretario Generale del Siulp in merito all’aggressione dei poliziotti della Questura di Roma avvenuta in un campo nomadi della capitale.

Questa degenerazione della coesione sociale che corre il rischio di instillare nei cittadini onesti la convinzione che lo Stato non sia in grado di difenderli da chi delinque e li sottopone ad atti di violenza, sottolinea Romano, è responsabilità di una legislazione schizofrenica che, intervenendo senza una logica complessiva ma sui singoli settori, ha fatto deragliare il treno della legalità costringendo i vagoni che lo compongono (sicurezza, giustizia e carcere) a viaggiare a velocità diverse. Ne è riprova che l’arrestato, autore dei furtie del tentato linciaggio ai danni dei poliziotti, pure essendo già sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliarti, sia stato ricollocato agli arresti domiciliari e abbia così evitato nuovamente il carcere nonostante quanto accaduto.

Questa responsabilità non è in capo alla Magistratura che, ovviamente, applica le norme che il legislatore approva e che attualmente prevedono l’impossibilità di comminare il carcere se la pena non supera i tre anni, ma alla politica latitante sui problemi concreti posti dagli operatori del comparto sicurezza e da quelli della giustizia, per dare risposte alla richiesta di sicurezza dei cittadini.

La stessa politica ha preferito, infatti, praticare una bulimia legislativa basata sempre ed esclusivamente sull’onda emotiva dell’impatto sociale che questi fatti provocano, aumentando la pena edittale massima lasciando, però, invariata quella minima. E’ invece evidente come proprio l’aumento della misura minima della pena sia indispensabile per assicurare al carcere chi delinque.

Oggi i cittadini intravedono nelle Forze dell’Ordine l’ultimo e unico baluardo che frena la strafottenza di chi delinque e il tentativo di questi ultimi di sopraffare lo Stato imponendo l’illegalità e l’anti Stato. Ai cittadini e alle donne e agli uomini in uniforme la politica deve una risposta immediata. Giacché, qualora dovesse perdurare la sua latitanza, le aggressioni come quelle del campo nomadi di Roma, potrebbero diventare fatti quotidiani e alla luce del sole in ogni strada di questo Paese.

Roma, 3 aprile 2018             La Segreteria Nazionale

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