Un nostro affezionatissimo lettore ci scrive chiedendo delucidazioni in merito alla possibilità di fruire di un periodo di aspettativa quale anno sabbatico. Si vuole sapere se per i lavoratori della Polizia di Stato sia previsto un tale istituto e quali siano gli eventuali condizioni per usufruirne.

Nel nostro ordinamento vi sono una serie di istituti che interrompono lo stato di servizio. Tutti sottoposti ad una serie di condizioni particolari.

Congedo continuativo o frazionato per gravi e documentati motivi familiari

L’articolo 4 comma 2 della legge 8 marzo 2000 nr. 53 prevede che i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi famigliari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni.

Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali; il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.

Aspettativa per motivi di famiglia

Il personale della Polizia di Stato che aspira ad ottenere l’aspettativa per motivi di famiglia deve presentare motivata domanda in via gerarchica; l’Amministrazione deve provvedere sulla domanda entro un mese e ha facoltà, per ragioni di servizio da enunciarsi nel provvedimento, di respingere la domanda, di ritardarne l’accoglimento e di ridurre la durata dell’aspettativa richiesta e, comunque, l’aspettativa può in qualunque momento essere revocata per ragioni di servizio.

Il periodo di aspettativa per motivi di famiglia non può eccedere la durata di un anno. Due periodi di aspettativa per motivi di famiglia si sommano, agli effetti della determinazione del limite massimo di durata, quando tra essi non interceda un periodo di servizio attivo superiore a sei mesi. La durata complessiva dell’aspettativa per motivi di famiglia e per infermità non può superare in ogni caso due anni e mezzo in un quinquennio.

Per quel che concerne il trattamento economico e normativo, il dipendente posto in aspettativa per motivi di famiglia non ha diritto ad alcun assegno. Il tempo trascorso in aspettativa per motivi di famiglia non è computato ai fini della progressione in carriera, dell’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza.

Il dipendente, al termine della fruizione dell’aspettativa per motivi di famiglia, prende nel ruolo il posto di anzianità che gli spetta, dedotto il tempo passato in aspettativa (Normativa di (riferimenti: articolo 52 DPR 24 aprile 1982, nr. 335; artt. 1, 2 e 53 DPR 24 aprile 1982, nr. 337; Artt. 66, 69 e 70 DPR nr. 3/1957).

Aspettativa per avviare attività professionali e imprenditoriali

L’istituto è previsto dall’art. 18 della Legge 4 novembre 2010, n. 183. Al riguardo, occorre precisare che il Dipartimento della pubblica sicurezza, Ufficio per le relazioni sindacali, con Ministeriale n. 557/RS/01/78/12 del 28 luglio 2011 ha comunicato che la Direzione Centrale per le Risorse Umane, a seguito degli approfondimenti svolti, ha concluso che l’aspettativa prevista dall’art. 18 della Legge 4 novembre 2010, n. 183 non risulta applicabile al personale delle Forze di polizia.

Secondo il Dipartimento, invero, dalla lettura del comma 3 della norma in esame sembrerebbe estesa, in effetti, a tutto il personale della Polizia di Stato la preclusione contenuta nell’art. 23, comma 9 bis del D.lgs. 165 del 30 marzo 2001, n. 165, secondo il quale le disposizioni in esso contenute non sono applicabili nei confronti del personale militare e delle Forze di polizia.

Peraltro, secondo il Dipartimento, la stessa legge 4 novembre 2010, n. 183 introducendo il riconoscimento della specificità del ruolo delle Forze di polizia, ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica e previdenziale, nonché dello stato giuridico del personale, in ragione della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, escluderebbe l’operatività dell’articolo 18 della Legge 4 novembre 2010, n. 183 al personale del comparto sicurezza.

La tesi del Dipartimento, tuttavia, non appare convincente, poiché sembra invocare strumentalmente il principio della specificità per limitare importanti diritti.

Anzi, è proprio il Consiglio di Stato, con una sentenza di ineccepibile chiarezza, a definire con precisione il carattere programmatico delle disposizioni di cui all’art. 19 della legge nr. 183 del 2010, precisandone la portata e comunque escludendo che la stessa possa avere un qualsiasi carattere inibitorio rispetto all’applicazione di nuove norme che sancissero il riconoscimento di nuovi diritti e spazi di agibilità per tutti i cittadini.

La sentenza, in questione emanata in materia di trasferimento chiesto ai sensi dell’articolo 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, nr. 104. la nr. 4047/2012 del 09/07/2012, cristallizza il principio che la formulazione adottata dall’art. 19 della legge nr. 183 del 2010, “…. non è in generale idonea a giustificare l’inoperatività relativa della fonte nel cui contesto la norma è inserita, non fosse altro perché essa non contiene nessuna disposizione a esplicito e specifico carattere inibitorio, presentandosi piuttosto all’interprete come un autonomo articolato, fondante in nuce le basi del futuro assetto di una organica e speciale disciplina del rapporto di impiego delle Forze Armate, di Polizia e dei Vigili del Fuoco.”

È probabile che un eventuale contenzioso rispetto al rigetto di una istanza prodotta allo scopo di ottenere questo particolare beneficio possa condurre auna pronuncia giurisprudenziale specifica, suscettibile di smentire e capovolgere l’attuale orientamento dell’Amministrazione.

Aspettativa per impiego in attività di cooperazione con i paesi in via di sviluppo

La legge 26/02/1987, n. 49 considera volontari in servizio civile i cittadini italiani maggiorenni che, in possesso delle conoscenze tecniche e delle qualità personali necessarie per rispondere alle esigenze dei Paesi interessati, nonché di adeguata formazione e di idoneità psicofisica, prescindendo da fini di lucro e nella ricerca prioritaria dei valori di solidarietà e della cooperazione internazionale, abbiano stipulato un contratto di cooperazione della durata di almeno due anni registrato ai sensi dell’articolo 31, comma 5, della legge 26/02/1987, n. 49, con il quale si siano impegnati a svolgere attività di lavoro autonomo di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo nell’ambito di programmi previsti dall’articolo 29 della legge stessa.

La qualifica di volontario in servizio civile è attribuita con la registrazione del contratto di cui all’art. 31, comma 1, della citata legge 26/02/1987, n. 49, presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo.

Ma vediamo qual’ è il trattamento economico e normativo.

Il dipendente al quale sia riconosciuta con la registrazione la qualifica di volontari in servizio ha diritto:

  • al collocamento in aspettativa senza assegni, nei limiti di appositi contingenti, da determinare periodicamente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i Ministri degli affari esteri e del tesoro. Il periodo di tempo trascorso in aspettativa è computato per intero ai fini della progressione della carriera, della attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza. Il diritto di collocamento in aspettativa senza assegni spetta anche al dipendente il cui coniuge sia in servizio di cooperazione come volontario;
  • al riconoscimento del servizio prestato nei Paesi in via di sviluppo.

Per il dipendente volontario in aspettativa ai sensi dell’articolo 33, comma 1, lettera a), della legge 26/02/1987, n. 49, il trattamento previdenziale e assistenziale rimane a carico dell’Amministrazione per la parte di sua competenza, mentre la parte a carico del dipendente è rimborsata dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo alla stessa Amministrazione.

Le organizzazioni non governative idonee possono inoltre impiegare nell’ambito dei programmi riconosciuti conformi alle finalità della legge 26/02/1987, n. 49, ove previsto nei programmi stessi, con oneri a carico dei pertinenti capitoli all’apposita rubrica di cui all’articolo 14, comma 1, lettera a), stessa legge, cittadini italiani maggiorenni in possesso delle conoscenze tecniche, dell’esperienza professionale e delle qualità personali necessarie, che si siano impegnati a svolgere attività di lavoro autonomo nei Paesi in via di sviluppo con un contratto di cooperazione, di durata inferiore a due anni, per l’espletamento di compiti di rilevante responsabilità tecnica gestionale e organizzativa.

La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, verificata tale conformità nonché la congruità con il programma di cooperazione, registra il contratto attribuendo in tal modo la qualifica di cooperante ai sensi della citata legge. Il dipendente cooperante ha diritto al collocamento in aspettativa senza assegni per la durata del contratto di cooperazione.

Il dipendente cooperante ha diritto al riconoscimento del servizio prestato nei Paesi in via di sviluppo ai sensi dell’articolo 20 della legge 26/02/1987, n. 49, il quale prevede che, salvo più favorevoli disposizioni di legge, le attività di servizio prestate in un Paese in via di sviluppo dal personale di cui al comma 1 dello stesso articolo (ossia il personale che ha prestato servizio di cooperazione ai sensi degli articoli 17 e 31 della legge 26/02/1987, n. 49), sono riconosciute, a tutti gli effetti giuridici, equivalenti per intero ad analoghe attività professionali di ruolo prestate nell’ambito nazionale, in particolare per l’anzianità di servizio, per la progressione della carriera, per il trattamento di quiescenza e previdenza e per l’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio.

Roma, 26 novembre 2016           La Segreteria Nazionale

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